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Questa sera al bar Hemingway di S.Alessio Siculo mostra fotografica di Sam Formichetti

Pochi capelli, barba lunga scura con labbro inferiore trafitto da un ferretto simile ad un uncino. Di altrettante poche parole. Essenziale.

All’ingresso dell’Hemingway di Sant’Alessio, mentre scarica dall’auto gli attrezzi del mestiere, ad attenderci i proprietari del bar con identità letteraria. Una domanda quasi per caso: “Sam, ma tu ce l’hai la biografia?”. Inizia così un lavorio interiore per Samuele Formichetti, 30 anni, che però, sceglie di rispondere solo ad alcune delle domande. Lavorio, soprattutto, per chi tenta di scoprirlo e di scrivere di lui.
Nato a Pavia il 22 luglio del 1988, è il quarto di sette fratelli tutti maschi. Per provare a farlo sciogliere un po’ gli chiedo: “Tua mamma tentava di avere di una femmina?”. Risponde con un “no” secco, quasi inespressivo. Cresciuto a Poggio Catino, in provincia di Rieti, dove è rimasto fino a 15 anni. Dopo la scuola media, il percorso scolastico di Samuele è stato discontinuo. Ha provato l’alberghiero e poi un istituto professionale a Pavia, senza ultimare gli studi: “Mi piaceva cucinare, solo che non me piacevano le altre cose”. Quando poi ha scoperto, invece, la passione per la fotografia. Risponde così il giovane Sam, con una inflessione dialettale appena percettibile, che molto ricorda le zone del centro Italia. Francesco Attanasio, 39 anni, il proprietario del locale, con fare informale e scherzoso, mi rassicura: “Parla così, non ci fare caso!”. Intanto si preparano i passepourtot per inserire le fotografie. Prima volta per Samuele e prima volta per l’Hemingway: la prima esposizione, interamente composta da fotografie di Formichetti, coincide, infatti, anche con il primo evento espositivo fotografico che l’altrettanto giovane proprietario condivide con passione con la moglie, la dolcissima e ricciolina Chiara, 31 anni, laureata in Accademia delle Belle Arti che aiuta il marito nella cura dello spirito del locale. L’esposizione è frutto di un viaggio dell’artista fatto in Romania nel dicembre del 2016. In bianco e nero, Samuele, esplora i volti della Bucarest trafitta da incongruenze e contraddizioni. La Bucarest dei sotterranei, della gente che vive e si nasconde sotto dei canali attraversati da tubi che riforniscono d’acqua calda le case della capitale della Romania. Gente di tutte le età che per proteggersi dal freddo, si nasconde dalla polizia che ha chiuso la gran parte di questi passaggi sotterranei. Quelle case d’altronde, non sono destinate a loro. Il fotografo racconta che, per caso, si è trovato in un atmosfera inusuale: era in corso una festa nazionale a Bucarest e si vedeva partecipare anche quest’altra metà del popolo sventolando piccole bandiere, decantando una patria che si è dimenticata di loro: del disagio degli sfortunati, delle vite provate dalla fame e dalla privazione, il disagio degli ultimi col respiro attraversato dalle inalazioni di colla e vernice. Per stordirsi, per non sentire la fame, per attenuare il senso di consapevolezza della propria condizione. “Come mai parli poco?” “Mi piace pensare. Penso prima de parla'”. La fotografia “è una cosa interiore, mi tranquillizza”.
Il locale di Francesco è aperto di sera. La mostra è visitabile a partire dalle 19,00 di domani per venti giorni.

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