Dopo lo storico traguardo del 2025, con l’assegnazione della Bandiera Blu a Messina e ad altri otto comuni della riviera jonica e tirrenica (Alì Terme, Furci Siculo, Letojanni, Nizza di Sicilia, Roccalumera, Santa Teresa di Riva, Taormina e Tusa), la Città Metropolitana guidata dal sindaco Federico Basile rilancia con un obiettivo ancora più ambizioso: portare la provincia di Messina al primo posto in Italia per numero di località premiate entro il 2027.
Il progetto “Messina Costa Blu”, con Palazzo dei Leoni come cabina di regia – fa sapere un comunicato stampa – punta a coinvolgere tutti i comuni costieri candidabili. Verranno messi a disposizione esperti, competenze tecniche e scientifiche, insieme a un percorso di accompagnamento verso un modello di gestione sostenibile che non riguarda soltanto le acque pulite, ma anche mobilità, sicurezza, accessibilità ed educazione ambientale. Entro il 20 settembre 2025 i comuni interessati dovranno compilare un questionario di autovalutazione, necessario per candidarsi al riconoscimento internazionale.
I numeri confermano un trend in crescita: nel 2016 la Sicilia contava appena sette Bandiere Blu, mentre oggi la sola provincia di Messina ne vanta nove, subito dietro a province come Savona e Salerno (14), Trento (12), Sassari e Cosenza (11). Con una programmazione attenta, superare questi primati non è più un traguardo irraggiungibile.
Il nodo irrisolto: il mare sporco
Eppure, mentre si celebra l’avanzata delle Bandiere Blu, l’estate appena trascorsa ha raccontato una realtà ben diversa lungo la riviera jonica: da Sant’Alessio ad Alì Terme, solo per rimanere tra i comuni da Capo a Capo, non si contano le proteste di cittadini e turisti contro il mare sporco, con immagini e video che hanno fatto il giro dei social. Un problema che non può essere liquidato come episodico, perché legato a inefficienze anche strutturali nella gestione delle acque reflue e dei depuratori.
Qui sta la contraddizione: da un lato progetti ambiziosi e una narrazione che guarda al futuro con ottimismo, dall’altro la quotidianità di un mare che, come è emerso in quest’ultima stagione, troppo spesso non è all’altezza delle aspettative. E la domanda diventa inevitabile: come si può pensare di attrarre turisti con un “brand” di eccellenza, se poi l’esperienza reale restituisce spiagge e acque inquinate?
Turismo sì, ma sostenibile
Il riconoscimento della Bandiera Blu, infatti, non è solo un premio estetico: è un impegno strutturale che richiede coerenza e continuità. Serve garantire non soltanto la qualità delle acque, ma un turismo sostenibile che non consumi il territorio bensì lo valorizzi, che non si limiti a esibire il vessillo internazionale ma assicuri servizi adeguati, controlli efficaci e infrastrutture funzionanti.
Chi guida i processi di sviluppo, dalle istituzioni agli operatori turistici, dovrebbe porsi una domanda cruciale: vogliamo puntare sulla quantità dei riconoscimenti o sulla qualità reale dell’esperienza che offriamo a chi sceglie la nostra costa?
Messina Costa Blu (a proposito, non si parlava prima di ‘Riviera Blu’? E quale sarà il ruolo di Taormina?) può diventare davvero un laboratorio di eccellenza, ma solo se saprà affrontare senza ipocrisie i nodi irrisolti che la cronaca estiva ha messo in evidenza. Perché il futuro del turismo nella riviera jonica e nella provincia intera non passa soltanto dai progetti e dalle bandiere, ma dalla capacità di garantire un mare davvero pulito e un territorio capace di accogliere in modo sostenibile.