La crisi bisogna combatterla inventandosi soluzioni nuove. O riscoprendo quelle vecchie. Come, per esempio, il rilancio dell’agricoltura, in una zona, come la Valle dell’Agrò, che questa vocazione l’ha persa anche per colpa delle nuove generazioni che hanno pagato il retaggio culturale di considerare l’agricoltura una attività arretrata, faticosa e affatto nobile. Oggi, invece, un ritorno al passato potrebbe rappresentare un valvola di sfogo. Ma ci vuole qualcosa che renda più facile lavorare la terra. Come la diga sull’Agrò o di “Passo Aranciara”, sogno degli anni Sessanta quando ancora non si era ceduto il passo alla cementificazione selvaggia ed al guadagno facile con il consumo del suolo indiscriminato. La diga sull’Agrò, una idea vecchia rilanciata in questi giorni nel corso di un incontro che ha cercato di individuare nuove possibilità per fermare la fame di lavoro, stabilendo di costituire un comitato per rilanciare il progetto. E’ un’opera pensata nei primi anni Sessanta dal senatore Heros Cuzari e poi dimenticata in seguito alla sua prematura scomparsa. Ripresa negli anni Settanta dall’ins. Mario Muscolino, antillese di origine e santateresino di adozione, che ne ha fatto un cavallo di battaglia fino al giorno della sua prematura scomparsa. Qualche successo c’era stato, gli studi “geognostici e agronomici” avevano dato esito positivo, la Cassa per il Mezzogiorno aveva stanziato 70 milioni di allora per lo “studio di fattibilità”, se ne doveva occupare l’Esa, l’ente regionale di sviluppo agricolo. La diga avrebbe avuto un invaso da 36 milioni di mteri cubi di acqua, disponibile per una irrigazione di 8 mila ettari. Ma poi, come tutte le opere che possono cambiare il corso delle cose, finì nell’oblio. Erano gli anni dei guadagni facili, la speculazione edilizia la faceva da padrona, le grandi opere (autostrada, acquedotto dell’Alcantara, montagne di finanziamenti anche per opere inutili) avevano dato una direzione diversa alla nostra idea di sviluppo. Oggi, in tempo di vacche magre in cui bisogna inventarsi qualsiasi cosa per sopravvivere, il discorso “diga dell’Agrò” torna di attualità. La nostra agricoltura ne otterrebbe un grande beneficio in termine di costi di produzione. Aree orami abbandonate potrebbe essere restituite alle coltivazioni solo che vi arrivasse l’acqua a basso costo. Una cosa è potere irrigare con impianti che sfruttano la pendenza del terreno, una cosa è dovere “sollevare” l’acqua dalla pianura a colpi di energia elettrica. Sono tanti i giovani che pure con la laurea in tasca si stanno dedicando all’agricoltura. Strada difficile e faticosa, non un’area di parcheggio in attesa di quel posto sicuro che (forse) non arriverà mai. Una diga, ieri come oggi, farebbe al caso e servirebbe un’area vasta che andrebbe da Giardini a Fiumedinisi. Le nuove tecnologie, il maggior bagaglio culturale delle nuove generazioni, potrebbero fare il miracolo. Ci sono da sfruttare il fondi europei 2014 – 2020, il Psr e il Po Fesr, ma ci vuole qualcuno che riprenda quella idea e che raccolga attorno ad essa forze propositive. La diga porterebbe tanto lavoro con il minimo sforzo, sarebbero soldi ben spesi per uscire dalla crisi che stritola questa nostra zona dove da trenta anni si aspetta quello sviluppo turistico che è ancora fermo al capolinea. In agricoltura tradizione e innovazione possono coesistere, diversificando le coltivazioni. Expo 2015 potrebbe essere una grande occasione per lanciare nuove eccellenze agroalimentari siciliane. Partendo dalla Valle d’Agrò. Perché no? Porterebbe lavoro, nella Valle d’Agrò, per una platea più vasta, più di uno svincolo, di un comune unico, di un piano regolatore comprensoriale. Tutta teoria e poca pratica.