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sabato, Maggio 10, 2025
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Al Sud si lavora meno? Tra precarietà e sommerso, cosa c’è davvero dietro i numeri della Cgia

Ancora una volta i numeri dicono quello che in tanti vogliono sentirsi dire: che al Nord si lavora di più, che la produttività è maggiore, che gli stipendi sono più alti. Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, infatti, nel 2023 i lavoratori del Settentrione hanno timbrato in media 255 giornate, mentre al Sud appena 228. Ventisette giorni in meno. Ma questa, come spesso accade, è solo una parte della storia.

Perché la realtà del lavoro al Sud, specie in Sicilia, è fatta di contratti a termine, part time imposti, stagionalità nel turismo e nell’agricoltura, disoccupazione giovanile e soprattutto una piaga che continua a distorcere ogni dato ufficiale: il lavoro sommerso. A ribadirlo sono gli stessi autori del rapporto.

Precarietà e stagionalità: la normalità al Sud

L’economia informale – cioè tutto quel lavoro che esiste ma non è registrato – è molto più diffusa nelle regioni meridionali rispetto al resto d’Italia. Ci sono braccianti, camerieri, artigiani, donne delle pulizie, operatori del turismo che ogni giorno lavorano in nero o in condizioni borderline, senza contratto, senza tutele e, quindi, senza comparire in nessuna statistica. È anche per questo che il numero dei giorni lavorati appare più basso: perché tanti giorni di lavoro non vengono proprio conteggiati.

A pesare sono anche le caratteristiche del nostro mercato del lavoro: la mancanza di stabilità, la diffusione del part time involontario e i contratti stagionali, soprattutto nel settore dei servizi e del turismo. Il risultato? Un’occupazione frammentata, che abbassa la media delle giornate lavorate e rende sempre più difficile costruire un futuro.

Produttività e stipendi: un divario antico

Il divario con il Nord si riflette anche nei salari. Secondo la Cgia, nel 2023 un lavoratore del Nord guadagnava in media 104 euro lordi al giorno, contro i 77 euro del Sud. Su base annua, a Milano si superano i 34 mila euro, a Trapani – per fare un esempio vicino – si scende sotto i 15 mila. Peggio ancora va a Vibo Valentia, in Calabria, dove la retribuzione media non supera i 13.400 euro. La media nazionale è di 23.662 euro.

Ma anche qui, la differenza non è casuale. Le grandi aziende, le multinazionali, le realtà produttive più solide e strutturate – quelle che offrono stipendi più alti – sono concentrate soprattutto al Nord. Per tanti motivi. Alcuni legittimi e comprensibili, come il fatto di essere logisticamente più vicini al centro Europa. Ma non si possono certo ignorare decenni di scelte politiche, investimenti pubblici e infrastrutture distribuiti in modo diseguale. In Sicilia e nel Mezzogiorno ci sono competenze, idee, capacità. Bisogna favorire e aumentare le occasioni. Come fare? Questa la domanda rimasta inevasa ormai dal secolo scorso.

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